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Il tempo del corpo

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Sono tornato a casa dopo un ricovero d’urgenza, ho sconfitto abbastanza rapidamente il perfido trombo che si era aggrumato nei miei polmoni. Insomma non ho ancora vinto la guerra, ma le prime battaglie sì. Lo capisco perché mi ascolto. Ho imparato in questi giorni di convalescenza ad accettare la legge del corpo, i suoi tempi, i suoi messaggi, il suo linguaggio assolutamente chiaro e comprensibile. Ma faccio fatica ad adeguarmi a questo tempo del corpo. Se uno viene preso a bastonate è abbastanza semplice capire perché si sta male. Ma quando il nemico ti assale dall’interno, togliendoti letteralmente il respiro, la faccenda si complica.

Mi sto rendendo conto che la nostra ansia da guarigione, individuale e sociale, è talmente radicata da provocare, anche involontariamente, un certo senso di colpa quando ti accorgi che, a ben guardare, non sei effettivamente in forma come prima, anche se i miglioramenti sono evidenti, quotidiani e classificabili secondo una scala interiore, difficile da tradurre in numeri e algoritmi.

L’esercizio di respirare bene, ad esempio, è un test particolarmente significativo dal punto di vista mentale e persino spirituale. L’ossigenazione corretta è alla base delle nostre funzioni vitali, compreso il meccanismo cardiocircolatorio. Lo sappiamo bene, eppure tendiamo a ignorare la lezione che il nostro corpo ci propone ogni giorno, ogni istante. L’ansia del ritorno alla normalità, alla quotidianità delle azioni e delle relazioni umane, è comprensibile. E nel mio caso, del tutto evidente. Sto sfruttando le poderose opportunità degli strumenti di comunicazione, dallo smartphone al computer. Quasi tutto si può fare anche a distanza. Ma non è la stessa cosa, specie quando la presenza fisica ha un’obiettiva giustificazione, perché rassicura, favorisce la soluzione rapida di incomprensioni o di problemi, consente di prendere decisioni e di costruire una rete condivisa, rispetto alle tematiche nelle quali si è impegnati.

Ma ascoltare il tempo del corpo è un esercizio di umiltà e di rispetto per il mistero della nostra esistenza, e anche una forma di rispetto per se stessi. Questo involucro che non corrisponde esattamente a ciò che avrei voluto indossare attorno al mio spirito, mi accompagna pur sempre nella vita, in modo soddisfacente, da 62 anni. La mia intenzione è di procedere a lungo, con determinazione e buona lena, vivendo normalmente e senza rinunce. Ogni parentesi determinata da un improvviso stato di disequilibrio fisico sviluppa un meccanismo di resilienza, che fino ad oggi ha fatto sì che io tornassi a combattere ogni volta come prima e meglio di prima.

Ma ho imparato la lezione. Il tempo del corpo va rispettato. Il suo linguaggio va ascoltato. Poi si riparte, dopo aver fatto il pieno di energia. Tranquilli, sto arrivando.

 


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